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"LA MENTE E LA COSA"
GALLERIA DEL CIRCOLO ARTISTICO
Bologna

Aprile-Maggio 1991

Piero Sacchetto è uno psicologo interessato alla pratica e alla ricerca teorica secondo la prospettiva moderna di una psicopedagogia ispirata a modelli cognitivisti. Intorno ai trent’anni, apparentemente in margine alla sua attività professionale, ma senza dubbio entro l’ambito dei suoi interessi teorici e pratici egli scopre in se stesso quasi per caso, una radicata vocazione di artista.

 

Vocazione oggi documentata da varie mostre personali. che una critica avveduta ha segnalato, e da una serie cospicua di carte (ultimamente anche di tele) elaborate a pastelli, colori ad acqua e inchiostri dapprima in dimensioni minime, quasi per ritegno ad affrontare l’abisso dello spazio bianco, poi in formati  maggiori fino a quello più rischioso, ma risolutamente dominato, del 70x100.

Fra i linguaggi che Sacchetto possiede, quello della riflessione teorica e della pratica psicologica e quello dell’arte, l’autenticità di quest’ultimo è confermata da una attentissima letture compiuta da Claudio Cerritelli in occasione di una mostra recente (dicembre 1989). Di tale lettura ritengo doveroso citare come sicuro punto d’arrivo la conclusione: “La figura di Sacchetto è quella  di un pittore disinteressato alla cronaca artistica corrente, alle strategie e alle conflittualità di campo che hanno contraddistinto e ancora determinano l’immagine dell’attualità.

 

Questa posizione non gli vieta di offrire un originale contributo ai generali problemi linguistici del presente”. E di seguito “ Anche Sacchetto come molti pittori dell’attualità, mira alla condizione del silenzio come massimo sprofondamento dell’immagine in se stessa, intoccabile, misteriosa come una città all’estremo confine del mondo”.

Rispetto a questa lettura il livello intenso di qualità toccato dall’artista nelle carte posteriori impone ora l’integrazione di un nuovo capitolo, il quale non potrebbe non confermare come tema d’avvio l’apparente contraddizione, sottolineata da Cerritelli, tra la relativa estraneità di Sacchetto alle vicende conflittuali dell’arte contemporanea e la convergenza del suo lavoro pittorico  con le tendenze attuali, volte a realizzare l’assolutezza della superficie attraverso una non illusionistica mise en abîme . Occorre  a questo proposito precisare che l’estraneità non comporta un giudizio limitativo sulla cultura figurativa di Sacchetto. Senza dubbio ricca e articolata quanto basta, e che riflette la condizione di una esperienza artistica sollecitata da molteplici ragioni culturali; la convergenza con l’attualità, a sua volta, si spiega con il ricorso ai principi conoscitivi che consentono all’artista di praticare esperienze linguistiche diverse senza ignorare le motivazioni tecniche e storiche di ciascuna. Voglio dire che il salto tra il Sacchetto e il Sacchetto artista non essendo registrabile come un caso di doppia personalità e tanto meno di dilettantismo, pone all’interprete il problema di un atteggiamento unitario. Tale atteggiamento , riferibile alla formazione filosofica e alle scelte professionali dell’artista, si inscrive nei processi del pensiero creativo e precisamente nel funzionamento della grammatica mentale che presiede ai ai criteri conoscitivi delle singole esperienze linguistiche. Come è noto, la teoria del pensiero creativo parte da Piaget e raggiunge le sperienze più avanzate del cognitivismo psico-linguistico. Essa comporta  la possibilità di configurare le operazioni della mente secondo condotte epistemiche, cioè esplorative e inventive, presenti già nel pensiero infantile e persino negli animali; possibilità che si attua secondo modelli circoscritti da opporre tanto al globalismo dei modelli gestaltici quanto al riduzionismo biologico delle procedure comportamentistiche.

 

Il rilevamento di tali condotte, pur diffidando di fondamenti generalizzanti, privilegia il momneto teorico dell’esperienza fino a praticare un mentalismo propenso a soluzioni di carattere innatistico (la linguistica di Chomsky ne è l’esempio universalmente più noto). Ne consegue che l’unità delle due vie seguite da Sacchetto, quella della teorica e pratica scientifica e quella dell’arte, è affidata per un verso a un atteggiamento  teorico  che interpreta i processi cognitivi attraverso le fasi del loro sviluppo dall’infanzia all’età adulta, per altro verso dalla convergenza fra le espressioni più evolute del pensiero, in particolare fra quella artistica e quella logica, pur restando confermato che esistono fasi differenziate dello sviluppo cognitivo e che il pensiero infantile e quello artistico sono qualitativamente diversi dal pensiero adulto o logico (infatti i test relativi alla creatività, intesa come pensiero aperto e divergente, non sono correlati con le capacità logiche di risolvere i problemi).

Entro questi parametri la produzione artistica di Sacchetto cessa di apparire un fenomeno di sdoppiamento o di compensazione  e si presenta come lo sviluppo di un atteggiamento teorico che esplora e pratica gli aspetti creativi del pensiero con una particolare attenzioneai linguaggi non verbali e al loro organizzarsi secondo specifiche grammatiche comunicative. Dal linguaggio delle cose al linguaggio dei bambini è il titolo significativo a cui egli (in collaborazione con E.Mammarella ha affidato la documentazione delle sue esperienze. Su questa via la sperimentazione diretta della grammatica mentale nel linguaggio visivo della pittura mom poteva non presentarsi come coerente e necessaria. Che è quanto sembrava opportuno premettere.

Insisto sul concetto cognitivista di grammatica generativa, la quale – Chomsky insegna – implica il costituirsi di modelli mentali capaci di produrre e comprendere un numero virtualmente infinito di segni comunicativi anche nuovi. Il variare delle componenti segniche e cromatiche nelle carte di Sacchetto va riferito a una virtualità di questo tipo. Allo stesso modo si spiegano le scelte e insieme la differenza con cui Sacchetto opera inizialmente entro il panorama dell’arte contemporanea. Nel quale ciò che più lo interessa è la spontanea convergenza, di cui si diceva, tra le sue proprie ricerche di psicolinguistica e gli indirizzi fondamentali della modernità, vale a dire di un linguaggio pittorico che mira a rappresentare se stesso e la sua propria creatività come un fatto originario, come un discorso diretto, non derivato, non mimetico.

 

L’esperienza della creatività infantile è ciò che guida l’artista nelle sue scelte. :a sia chiaro: l’atteggiamento  cognitivista non consente di concepite il rapporto fra il pensiero artistico e il pensiero infantile come  un atto prelogico secondo le mitologie di un tardo romanticismo, protratto fino agli automatismi puerili di certe esperienze surrealiste e fino al brutalismo dei graffiti informali. L’atteggiamento cognitivista non può concepire il pensiero infantile se non come pensiero, cioè come organizzazione epistemica,sia pure per tentativi ed errori. La differenza qualitativa del pensiero infantile rispetto al pensiero adulto e la sua affinità con il fare artistico consistono in una funzione conoscitiva in una funzione conoscitiva, come si diceva, aperta e divergente, in cui si manifesta con ampia libertà la componente soggettiva che appartiene tacitamente anche alla conoscenza scientifica. Più propriamente il pensiero artistico è pensiero dell’origine. Intelligenza che si fa cosa, sesso pensa se stesso come fare, come attività creativa. Pensa la creazione.

 

Nel panorama dell’arte contemporanea la pittura informale si offre a Sacchetto come linguaggio delle origini, quasi uno scenario o fondo nativo su cui muoversi. E subito egli sottrae questa esperienza alle sue ragioni storiche, che è quanto dire alle sue motivazioni fenomenologiche e materiche che lo condurrebbero per vie indiretta ad accogliere il fenomenismo gestaltistico e il comportamentismo biologico a cui il cognitivismo si oppone. Per lui il linguaggio informale è musica delle origini, esercizio creativo iniziale, legato all’intelligenza pura del colore; quasi un metalinguaggio cromatico che investe la superficie con un atto conoscitivo primario, ancora privo di contenuti.

 

Accanto alle prove di superficie offerte dalla tradizione informale, e in conflitto con essa, troviamo nelle carte di Sacchetto un pullulare di minuscoli e puntigliosi elementi grafici, che popolano le stratigrafie cromatiche, distribuiti tra falde sotterranee e improvvise aperture luminose, microrganismi che appaiono e scompaiono, forme guizzanti ironiche e fiabesche, larve cigliate, palloncini aerei o sommersi, cuspidi minuscole di città favolose, isolate in un buio geologico o in una colorata lontananza. L’elemento favoloso fa pensare a precedenti letterari (si è citato il nome di Calvino) e più più propriamente ai mirabilia delle illustrazioni per l’infanzia. In realtà i modelli più direttamente presenti nella memoria dell’artista sono offerti da Mirò e da Klee, trasposti nel lirismo fiabesco e nel leggero umorismo di un universo ancora in fieri, dove le terre e le acque, l’aereo e il sotterraneo si alternano secondo blocchi magmatici variamente sovrapposti, un mondo in cui tutto è in movimento e nessun elemento appare definitivamente raffreddato e arginato.

 

In questo universo l’istintiva ateoricità di Mirò, affidata al gioco surreale delle amebe e placente filanti e dei protozoi cigliati, si accorda con l’intelligenza teorica di Klee, con l’incanto di una sensibilità concepita come organizzazione primaria del conoscere. Un accordo così sintomatico rappresenta gli estremi tra i quali si colloca quella sorta di Pӓdagogiches Skizzenbuch (Quaderno di schizzi pedagogici) in cui, ripensando al Klee di Weimar e di Dessau, potrebbe configurarsi la raccolta delle carte – carboncinim pastelli, gessi, graffiti, inchiostri – a cui Sacchetto consegna la propria libera intelligenza dei processi cognitivi ricostruiti attraverso le fasi del loro sviluppo nel pensiero infantile e ricapitolati nell’atto originario del conoscere. Che è quanto dire nell’apriori dell’innatismo, grazie al quale la rappresentazione fenomenica – è opportuno ribafirlo –rinvia a un discorso sull’origine. Nel racconto lirico di queste carte tutto appare fluido, quasi che una mani divina stenti a separare la terra dalle acque e a liberare dal magma le piccole sfere che vi si trovano implicate, non ancora sciole a formare il mantello siderale dell’orbe terracqueo. Fra gli strati della materia informe l’inchiostro continua a circoscrivere accuratamente le morfologie geologiche di larve neoteniche, suggerite all’artista oltre che dal segno festivo di Mirò, dalla frequentazione di atlanti di zoologia fossile. Si avverte nel loro contorno accurato il bisogno di suscitare l’interesse di uno sguardo ingenuo, un bisogno che non sempre libera l’invenzione dal gusto dell’aneddoto, dall’episodio marginale e dal sorriso accattivante.

 

Una libertà piena Sacchetto raggiunge nelle 70x100 degli anni’90-’91, fino ad oggi solo parzialmente parzialmente esposte. Esse rappresentano il punto più alto toccato da un’assortas fantasia mentale. Scompaiono i grafemi e con essi i tentativi di esprimere piccole vite elemntari, angeli neotenici, ironiche fibrillazioni. Aboliti gli inchiostri, restano unici strumenti dellarappresentazione i pastelli e i gessi che sulla grana della carte creano effetti di nebbia luminosa, quasi un liquido incantamento divisionista, a cui i corpuscoli del colore e del gesso alternati conferiscono una vibrazione diffusa. Sciolto dalle stratificazioni magmatiche, umido di una vita fresca e perfetta, il mondo nasce in un silenzio altissimo entro il puro tremito della luce. Siamo alle origini, contemplate dall’occhio di Dio che scorre sulle acque. Un’atmosfera  di sospensione regna su questa emozionante avventura della luce e del colore che fonde ogni elemento nell’unità tonale. Il lungo, fabuloso racconto della caverna finisce qui. I microrganismi, gli esseri ameboidi, i minuscoli ippocampi, le vite primitive diffuse  strato e strato in frizione, strato  le lune e i piccoli soli spenti o non mai sorti, la discontinuità spaziale e temporale e infine l’ironia di chi contempla la terra ancora confusa e in formazione da un ordine che non si sa, tutto è improvvisamente sciolto. Restano nel nuovo ordine due sfere, immagini del sole e della luna, non più contornate graficamente, ma risolte in una morbida continuità tonale ora collocate in altro e avvolte in una nebbia azzurra, ora in basso, sotto la linea di terra, senza che questo turbi l’equilibrio simmetrico degli elementi, modulato dalle grandi onde uguali e pacate di un mare turchino e poi verde-giallo e ancora verde tenero e di nuovo turchino profondo. Le vaste stesure a fasce si avvicendano naturalmente, sciogliendosi l’una nell’altra. Nell’incanto dell’attimo il tempo è fermo: ordine, purezza, vastità.

 

In questa aurora nel mondo l’artista dà scacco alla gradualità dello psicologo cognitivista. Tutti i processi empirici sono riassorbiti in una serena e severa religiosità delle origini. La storia è già compresa nell’atto creativo. Di fronte aprove così intense, per quanto possano rivelarsi il miracolo di un momento di grazia, si pensa nei termini assoluti della poesia: “conobbi il tremolar della marina”. Siamo in una dimensione intellettuale vissuta come pura contemplazione: “io nel pensier mi fingo”. Tutto è perfetto e non si attende svolgimento.

 

Nei panni di Sacchetto sarei preoccupato.

Pietro Bonfiglioli

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